F u r i o   F r i l l i c i
O f f i c i a l   W e b s i t e
scrittore - saggista - critico d'arte

Tre matrimoni
Un racconto edito da Albatros in "Sfumature" (dicembre 2020)
Furio Frillici

TRE MATRIMONI

1. Giulio, come tanti altri ragazzi della sua generazione, si sposò per allegria. Era la fine degli anni settanta e i matrimoni quando si celebravano lo si faceva al comune, mai assolutamente in chiesa. No alle bomboniere, agli abiti formali, agli invitati; resa nota la data, chi volesse andare, avrebbe potuto farlo e non c’era l’obbligo del regalo. Ovviamente se qualcuno si fosse presentato con un regalo, questo sarebbe stato bene accetto. Si era perso il concetto della ritualizzazione dell’evento perché c’era grande rispetto per la libertà individuale, a costo di apparire cafoni nella peggiore delle ipotesi, stravaganti nella migliore. E non valeva solo per i matrimoni ma anche per battesimi, funerali, anniversari di nozze e così via.

Il matrimonio di Giulio avvenne in cima alla scalinata del campidoglio a Roma. Indossava i jeans, ma non quelli lacerati, quella moda apparirà più tardi, e un giacchetto sempre stile bluejeans. La sposa invece, più formale ed elegante, aveva indossato un completo classico, calzoni e giacca in tinta.

2. Giulio si sposò nuovamente circa vent’anni dopo. Era il desiderio di normalità a guidare le coppie degli anni novanta alle soglie del duemila, il desiderio di voler essere inseriti in un mondo borghese abitudinario e rituale, quindi i matrimoni avvenivano di nuovo in chiesa, eleganti, con tanti invitati, bomboniere, regali d’obbligo, pranzo nuziale della durata di cinque ore con conseguente abbuffata. Per l’occasione la coppia aveva scelto di sposarsi in chiesa, ma non in una chiesa qualunque ovviamente, proprio dentro al vaticano, nella chiesa di S. Stefano degli abissini. Questa volta, pensava Giulio, il matrimonio di certo funzionerà con l’appoggio della chiesa e in quel luogo sacro. Il matrimonio precedente non avrebbe mai potuto funzionare, perché era stato affrontato con troppa laicità, superficialità e non consapevolezza del passo importante che si stava per fare.

Ma non andò così. Durò, è vero, più a lungo e nacque un figlio che teoricamente rafforzò il legame coniugale; ma anche stavolta la coppia andò in crisi e Giulio si ritrovò da solo, senza casa, senza moglie e, soprattutto, senza figlio. Ma si ripeteva continuamente dentro di sé che tutto ciò che non uccide ti dà più forza.

3. A sessant’anni suonati, fortissimo dopo tante delusioni, arrivò il terzo matrimonio. Un giorno si guardò allo specchio e si chiese, ma insomma che cosa vuoi? Una donna che rispetta il suo uomo, solare e generosa, l’opposto insomma delle donne europee, concentrate solo sul lavoro e sulla palestra. La risposta arrivò di getto: una thailandese. Così si mise a cercare online tutti i contatti possibili con la Thailandia e riuscì a comunicare con diverse ragazze, tutte belle, giovani, desiderose di trasferirsi in occidente. Decise di andare sul posto ad incontrarle e fece il suo primo viaggio in Thailandia, emozionato come un bambino, si innamorava tutti i giorni delle ragazze che incontrava sul bus, in spiaggia, al bar… anche se non le conosceva né riusciva a parlarci. Le ragazze thai sono note per il loro sorriso, per la solarità. Insomma neanche si rendeva conto che era una persona anziana che corteggiava ragazze che avevano quarant’anni di meno!

Dopo diversi viaggi decise di affidarsi ad un’agenzia. Un italiano sposato con una thailandese che viveva a Bangkok gli promise che avrebbe trovato la persona giusta per lui. E andò che la fece venire a Roma, la sposò, e tutto sembrava andare bene, ma un giorno tornato a casa non la trovò più. Era tornata al suo paese e gli aveva scritto che la sua famiglia aveva bisogno di lei. Insomma il terzo matrimonio fu il più breve di tutti.

4. Deluso e ormai troppo vecchio per riprovare a vivere con una donna, andato in pensione, si accorse che il denaro che gli inviava l’ente pensionistico non era sufficiente per vivere decentemente. E neppure per ricostruirsi una famiglia o una parvenza di famiglia. Un giorno Giulio lesse un articolo in cui si diceva che c’erano dei posti nel mondo in cui è possibile vivere bene anche con una pensione non particolarmente elevata. Per esempio Chiang Mai, posto meraviglioso al nord della Thailandia, in cui era possibile prendere in affitto una bella casa con poche decine di euro al mese, c’era sempre il sole, con pochi euro mangiavi al ristorante tutti i giorni! Ma adesso la Thailandia non aveva più, per lui, il fascino che aveva prima. Così cercò altri paesi, altri posti possibilmente non così lontani dall’Italia.

La decisione fu presa quasi di getto. Si trasferì in Portogallo a pochi chilometri da Lisbona in una piccola città, in una casa da dove poteva vedere il mare.. In fondo aveva sempre apprezzato lo scrittore Fernando Pessoa, le sue opere, quella capacità straordinaria di crearsi due identità e di essere capace di tenere il filo degli eventi delle due personalità senza mai perdere il controllo della situazione (il narratore onnisciente!). Avrebbe fatto la stessa casa, vivere i suoi ultimi anni concentrandosi solo sulla scrittura vivendola come un impegno, un imperativo categorico a cui è impossibile sottrarsi.

E visse ancora molti anni, solo, forte, ma nella sua solitudine quella parvenza di vita gli donò la serenità.

Da “Dreams and desires” (2010)
Raccolta di racconti
Furio Frillici

SOGNO n. 3

Sto camminando per il centro di Roma, da solo, mi ritrovo nei pressi di campo dei fiori, proprio dov’è il cinema Farnese; di fuori proiettano sulla facciata del palazzo immagini in bianco e nero di un vecchio film italiano del neorealismo. Ad osservare una decina di persone in tutto. Decido all’istante di entrare nel cinema e proporre qualcosa (un’ipotesi di collaborazione, un saggio, un’idea per un video?) al proprietario del cinema, oppure ad un produttore cinematografico che sono certo incontrerò dentro.

Varco la soglia dietro a due persone che entrano indisturbate, ma io vengo notato e bloccato da un poliziotto. Mi lascia entrare, ma dentro trovo ogni pochi passi coppie di poliziotti che mi chiedono continuamente dove vado. C’è un vero e proprio labirinto fatto di scale ed impalcature che scendono e salgono (mi ricorda la biblioteca della versione cinematografica de “Il nome della rosa”).

Dopo alcuni minuti, già imbarazzato e scoraggiato da tutte le difficoltà che incontro, più volte tentato di lasciar perdere e ritornare indietro incontro un altro poliziotto tarchiato, media altezza, robusto, vestito metà in divisa e metà in borghese, con una vistosa pistola che si riconosce sotto la giacca che mi fa domande, mi segue, non mi abbandona più, a differenza degli altri.

Il suo atteggiamento è un miscuglio strano di autorità e paternalismo. Vorrebbe sapere che lavoro faccio, se ho famiglia, che cosa devo chiedere al proprietario-produttore, se ho un appuntamento; io do tutte risposte generiche ed evasive, manifestando apertamente il mio fastidio, così diventa ancora più pressante lasciando, talvolta, cadere come per caso la mano sul rigonfiamento (la pistola)che si vede chiaramente in quanto dà una piega strana alla giacca.

Finalmente, in una delle nostre peregrinazioni (ormai siamo una coppia), incrociamo il proprietario-produttore; mi avvicino chiedendo di potergli parlare. Mi guarda, stranamente mi riconosce, mi dice che in quel momento non può, ma che ci vedremo senz’altro, senza però darmi un appuntamento. Al rapido colloquio è presente, ovviamente, il poliziotto con aria apparentemente distratta, ma in realtà non si perde una parola. Mi riaccompagna, passo dopo passo, su per le scale, come fosse la mia scorta, fino all’ingresso del cinema.

Me ne vado ed esco rapidamente; mi sento profondamente insoddisfatto per non aver parlato, come avrei voluto, col proprietario-produttore. Non ho detto un punto di vista, un’idea, una proposta. Mi sento però sollevato di potermi allontanare dal poliziotto e respiro l’aria serale di Roma con voluttà, come fosse aria pulita e pura di campagna; osservo ancora un attimo le insegne del cinema, lo schermo improvvisato sulla facciata del palazzo ormai senza immagini.

Non c’è più nessuno in giro, me ne vado con la piena consapevolezza, anche se un po’ deluso per la scarsa grinta dimostrata, che ritornerò prima o poi e parlerò dei miei progetti con sicurezza ed accuratezza.


ProgettoAuschwitz FurioFrilliciViaggioMemoria
FurioFrilliciViaggioMemoria
Viaggio ad Auschwitz con gli studenti e con il sindaco di Roma Walter Veltroni (2006).