PREGHIERA IN GENNAIO (Una canzone di Fabrizio De Andrè dedicata a Luigi Tenco)
Questa canzone dedicata da Fabrizio de Andrè a Luigi Tenco, suicida nel gennaio 1967 a Sanremo durante il festival, è composta da sei strofe.
Due sono i temi ricorrenti nella canzone. Il tema essenziale è quello del ricordo dell’amico ora defunto, il ricordo poi del sacrificio della sua giovane vita.
L’altro tema è un’accesa critica alla società borghese benpensante e al bigottismo religioso imperante in Italia.
La canzone si conclude con la fusione dei due temi che si materializza nell’incontro tra l’anima di Tenco e Dio.
Ed ecco la possibilità di una riflessione sul tema religioso.
Lascia che sia fiorito
Signore, il suo sentiero
quando a te la sua anima
e al mondo la sua pelle
dovrà riconsegnare
quando verrà al tuo cielo
là dove in pieno giorno
risplendono le stelle.
La “preghiera” si apre come qualsiasi preghiera con una richiesta che però giunge subito senza che venga inserita ipocritamente nel mezzo o alla fine.
L’anima di Luigi troverà un sentiero fiorito, di questo De Andrè ne è già convinto.
E’ questo il sentiero della morte, il momento in cui corpo ed anima devono dividersi ed ognuno prendere la strada che gli è stata destinata.
Ma la parte migliore và a Dio, al mondo falso ed ignorante resteranno i miseri resti mortali.
Ed ecco che De Andrè auspica che l’amico arriverà in cielo (il senso del divino è presente attraverso il fenomeno del risplendere delle stelle anche se è mattino).
Quando attraverserà
l’ultimo vecchio ponte
ai suicidi dirà
baciandoli alla fronte
venite in paradiso
là dove vado anch’io
perché non c’è l’inferno
nel mondo del buon Dio.
Questo ultimo vecchio ponte potrebbe significare innumerevoli cose che poi si riducono ad essere unicamente il momento della morte come un passaggio da una condizione ad un’altra.
Ma ecco che la strofa si illumina improvvisamente dell’incontro con i suoi fratelli, i suicidi. Tenco li accoglie da fratelli e li bacia sulla fronte e li invita a seguirlo in paradiso.
E’ sintomatico che la schiera dei suicidi sia rimasta lì, come in un limbo, ad aspettare lui.
Ma il luogo non viene definito dall’autore, sembra una sorta di purgatorio dove si attende che un’anima pura porti con sé tutti gli altri verso il paradiso.
La strofa termina con una chiara e netta affermazione: non c’è l’inferno nel mondo del buon Dio.
I benpensanti ovviamente ritengono l’affermazione una sorta di bestemmia, ma è semplicemente il punto di vista dell’autore (l’ultimo verso parla di un Dio di misericordia).
Per De Andrè l’aspetto centrale della religione deve essere la bontà, la misericordia, il perdono….Tuttavia la presenza di Dio non si riduce ad un’immagine che dice sempre di sì e che perdona tutto.
Nella strofa seguente, come a dimostrare ciò, ecco che si rivolge a Dio dando del voi per sottolineare il dovuto rispetto nei suoi confronti.
Fate che giunga a Voi
con le sue ossa stanche
seguito da migliaia
di quelle facce bianche
fate che a Voi ritorni
fra i morti per oltraggio
che al cielo ed alla terra
mostrarono il coraggio.
Ritorna il motivo iniziale e Tenco è visto di nuovo come l’anima salvatrice dei suicidi.
Le sue ossa sono stanche e rappresentano i dolori, le sofferenze e le continue delusioni della vita del cantante.
La strofa si chiude con un’altra affermazione decisa: i suicidi non hanno agito così per viltà, ma al contrario hanno dimostrato coraggio.
De Andrè allude probabilmente a chi non ha avuto nemmeno il coraggio di quell’atto estremo, chi non ha mai sentito l’impulso del bene né quello del male (gli ignavi?).
Signori benpensanti
spero non vi dispiaccia
se in cielo, in mezzo ai santi
Dio, fra le sue braccia
soffocherà il singhiozzo
di quelle labbra smorte
che all’odio e all’ignoranza
preferirono la morte.
Ecco che De Andrè ora è in aperta polemica con i benpensanti pronti soltanto a giudicare, condannare, coloro che fanno dell’ipocrisia la loro vera religione.
Ed ecco che Dio, in mezzo a tutti i santi, abbraccia l’anima del suicida, cerca di far tornare in lui quella pace che in terra, forse, non hai mai avuto e soffoca, nell’abbraccio, il singhiozzo del povero Luigi.
L’interpretazione che De Andrè dà del suicidio di Tenco non è in chiave psicologica o sentimentale, ma si è suicidato perché ha visto intorno a sé solo odio ed ignoranza.
Evidente il riferimento all’ipotesi che Luigi si sarebbe suicidato, in un momento di sconforto, perché la sua canzone (Ciao amore, ciao) era stata bocciata al festival, mentre canzoni commerciali (Io, tu e le rose) erano andate in finale.
Dio di misericordia
Il tuo bel paradiso
lo hai fatto soprattutto
per chi non ha sorriso
per quelli che han vissuto
con la coscienza pura
l’inferno esiste solo
per chi ne ha paura.
E di chi è il paradiso se non di coloro che hanno sofferto? Così Tenco, pur con l’odio dei benpensanti, ha diritto ad avere finalmente un po’ di pace.
Un’altra affermazione categorica, non cattolica ma laica: l’inferno esiste solo per chi ne ha paura.
De Andrè può dare l’idea di essere un borghese aristocratico che disprezza la massa bruta ed ignorante; ma non è così, perché come condanna il conformismo della massa col cilicio del medioevo, allo stesso modo condanna notabili e conti.
Meglio di lui nessuno
mai ti potrà indicare
gli errori di noi tutti
che puoi e vuoi salvare.
Ascolta la sua voce
che ormai canta nel vento
Dio di misericordia
vedrai, sarai contento.
Dio di misericordia
vedrai, sarai contento.
La canzone finisce con l’omaggio a Tenco.
Conosce bene i nostri errori, egli stesso ha sbagliato, ma Dio lo ascolterà per salvarci.
La conclusione è quella prevista. Il significato simbolico della religione per De Andrè è uno e solo uno può essere : misericordia, pietà, bontà.
Nel 1967, cinquanta anni fa, durante il Festival di San Remo, Luigi Tenco si suicidò in seguito alla delusione per l’eliminazione della sua canzone “Ciao amore, ciao”.
L’anno prima, del resto, era stata eliminata “Il ragazzo della via Gluck” che Adriano Celentano cantò in coppia con Francoise Hardy, divenuta poi una hit internazionale.
Fabrizio de Andrè, come altri cantanti (tra cui Francesco De Gregori che dichiarò che non avrebbe mai partecipato al festival, mantenendo poi la promessa) rimase fortemente colpito dall’evento e dedicò alcuni anni dopo “Preghiera in gennaio”a Tenco.
E’ una delle sue canzoni più belle ed ispirate dove emerge una preghiera acattolica, laica, con una rappresentazione di Dio lontana anni luce dall’immagine del Medio Evo.